TESTIMONIANZA AL SEPPUKU 2


TESTIMONIANZA AL SEPPUKU 2


Questa è la testimonianza riportata integralmente di un occidentale al suicidio rituale giapponese.
Ci fu ancora una lunga pausa dopo la quale fummo invitati a seguire i testimoni giapponesi nell’hondo (la sala principale del tempio) dove si sarebbe svolta la cerimonia.
La scena era veramente imponente; una grande sala con tetto molto alto sostenuto da pilastridi di legno scuro; dal soffitto pendeva una grande quantità di quelle lampade dorate e di quegli ornamenti così caratteristici nei templi buddisti.

Di fronte al massimo altare, dove il pavimento, coperto con stupende stuoie bianche, si alzava di una ventina di centimetri dal suolo, era stata posta una stuoia di feltro scarlatto. Delle lughe candele poste a intervalli regolari formavano una luce tenue e misteriosa, appena sufficiente per distinguere i presenti. I sette giapponesi presero posto alla sinistra del piano rialzato, noi sette stranieri alla destra. Non era presente nessun’altro.
Dopo alcuni minuti di emozionante attesa, Taki Zenzaburo, un uomo robusto, di 32 anni e di nobile aspetto, entrò nella sala paludato dal suo abito da cerimonia con le caratteristice maniche di canapa che vengono indossate solo nelle grandi occasioni.

Egli era accompagnato da un kaishaku, il cui corrispondente occidentale serebbe il boia, ha un significato del tutto differente. L’incarico viene svolto da un gentiluomo, in molti casi viene svolto da un parente o da un amico del condannato e il rapporto tra loro è piuttosto quello di un duellante col il suo secondo che quello di una vittima col suo esecutore.
In questo caso il kaishaku era un pupillo di Taki Zenzaburo ed era stato scelto tra i suoi amici per la sua pravura nel’arte della spada.
Col  kaishaku alla sua sinistra Taki zenzaburo avanzò lentamente tra i testimoni giapponesi cui rivolse il saluto, dirigendosi poi verso i testimoni occidentali egli rivolse ancora il saluto verso di noi nello stesso modo, forse anche con maggior deferenza; ad ogni modo il saluto venne da tutti i presenti restituito cerimoniosamente.

Lentamente e con grande dignità il condannato salì sulla parete rialzata del pavimento, si prostro due volte davanti all’altare e si sedette sul tappeto rosso con la schiena rivolta all’altare ed il kaishaku inginocchiato dalla parte della sua mano simistra. Allora uno dei tre ufficiali si fece avanti portando un vassoio del tipo di quelli che si usavano nei templi per le offerte, su cui, avviluppato nella pergamena, c’era il wakizashi, la spada corta o pugnale giapponese, un’arma lunga una trentina di centimetri con la punta e il e il taglio affilati come un rasoio. dopo essersi prostrato, l’ufficiale porse il wakizashi al condannato che lo prese con rivarenza alzandolo prima alla testa con entrambe le mani e poi tenendolo dritto di fronte a sè.(…)

Lord Redesdale Giappone 1868

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