Arti marziali : le esperienze nello iaido dei gakusei


Praticare arti marziali a Torino, in particolare la via della spada giapponese.

Ecco il pensiero di un giovane praticante di Jaijutsu del dojo Niten Ichi Ryu, dopo cinque anni di pratica regolare.

Le sue personali sensazioni espresse in un modo chiaro, pulito e netto.

 

L’inizio: avvicinarsi alle arti marziali a Torino

È difficile estrapolare un solo episodio tra tutti i momenti di passaggio, le prove ed i piccoli passi che contraddistinguono questo lungo cammino e tanti sono stati i momenti importanti, sia praticando dentro al dojo sia fuori di esso.

Uno però lo considero significativo per il senso che ha praticare una disciplina: un momento preciso, semplice, ma carico di significati e di prospettive.

Quando sono arrivato al dojo, come tutti, avevo in testa idee, immaginari, conoscenze, libri letti e grandi, stupende, intuizioni, stringendo l’obi ed indossando l’hakama, praticavo anche io, brandendo lo Iaito davanti a me.

La mente

Stavo lavorando al primo kata, provato e riprovato più volte, eppure c’era qualcosa che non andava: non avevo quella armonia e quella scioltezza che la mia mente pensava di avere il (mushin).

Il maestro si avvicina per correggere la posizione del mio braccio destro.

Appoggia la sua mano sul gomito e mi dice che lo devo abbassare di più; spinge lievemente e il braccio rimane rigido, bloccato, un pezzo di legno.

Guardo il mio braccio e non riesco a capire perchè: nonostante tutte le mie convinzioni, non riesco a fare una cosa così semplice.

 

Questo episodio è stato per me un grande salto in avanti, perchè ho intuito la distanza che c’era tra la mia mente ed il mio corpo.

I miei movimenti non erano bloccati solo dalla sua rigidità, ma dalla mente stessa, dal lato emotivo, dalle abitudini, da schemi sedimentati dentro di me che nessuna intuizione aveva scardinato.

E, proprio in quel momento, sono diventato un gakusei, un allievo, perchè ho accettato il cammino che mi si poneva davanti, perchè lo volevo, non perchè era un temporaneo bisogno qualsiasi, ma perchè è una sfida che mi affascina ogni volta.

Sono diventato un allievo perchè il mio pensiero successivo è stato uno solo: praticare!

Praticare è lavorare con il proprio corpo, imparare a conoscerlo e a controllarlo, ma significa anche sfidare il proprio ego che non molla mai la presa illudendoci di essere il nostro centro, significa affrontarne le resistenze, sciogliendone il peso.

Praticare è vivere il dojo, seguire gli insegnamenti, stare nel qui e ora con caparbietà e con gioia di farlo. Praticare è non mollare.

Liberare il proprio spirito, chiuso, imprigionato dalle ombre dell’esistenza quotidiana, farne una forza che accompagna i passi, le scelte, le sfide.

La ricerca del movimento armonico del corpo porta ad un’energia nuova, ad un atteggiamento verso la vita diverso, che permette di portare quell’energia nuova all’esterno del dojo.
Praticare è crescere anche in questo.

Praticare significa cercare e continuare a cercare….

“Quando credete che avrò appreso le tecniche a sufficienza,Sensei?”
“Mai.”

Senza lo sforzo della crescita interiore l’uomo resta un essere senza spirito, un tentativo fallito nell’ego.

Come il cammino che può fare un pezzo di legno che, dopo molto lavoro, diventa un burattino e poi continua ad essere quasi umano aspirando all’armonia dei movimenti, alla postura ed allo spirito in un semplice gesto.

Michele De Fazio Romano 2dan Iaijutsu

 

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