Il dojo





IL DOJO E’ IL LUOGO DOVE COLTIVARE IL TUO SVILUPPO PERSONALE

La parola dojo viene spesso, erroneamente, associata al luogo dove si praticano le arti marziali, quindi la lotta e il combattimento. Ma si tratta di una visione molto limitata: dal punto di vista della cultura giapponese, infatti, il dojo è più precisamente il “luogo sacro e di ricerca della Via o luogo dove si coltiva lo spirito”, intesa come Via spirituale, attraverso la pratica di un’arte (marziale o non).

Se sei intenzionato a praticare una disciplina orientale in un VERO DOJO, dovunque si trovi, dovrai essere pronto a metter piede in un luogo molto particolare, ben diverso dalla tradizionale palestra a cui la cultura occidentale ti ha abituato.

Il primo impatto che avrai entrando in un vero dojo sarà una sensazione molto particolare: l’atmosfera sarà ovattata, e quasi sempre sentirai un buon profumo di incenso nell’aria. Questo è il primo passo per predisporre e rilassare mente e corpo.

Le caratteristiche particolari che noterai nel luogo, non solo sono esteriori, estetiche: si tratta infatti di aspetti profondi che derivano dall’applicazione delle regole di comportamento collettive, che tutti gli appartenenti al dojo seguono.

1) IL SILENZIO
Nel dojo non si urla, perché il controllo di sé è parte integrante delle discipline orientali. Lo stesso garbo riguarda i movimenti: nessuno corre o si sposta in modo brusco.

2) LA PULIZIA
Il dojo è un luogo pulito, anche ai praticanti è richiesto di provvedere alla sua pulizia prima di ogni lezione, dove ti verrà chiesto di entrare senza scarpe. Abbandonare le calzature è uno dei modi per predisporsi fisicamente e mentalmente al lavoro.
Entrando, inoltre, noterai un lato delle pareti dedicato all’esposizione dei dettami della Scuola, degli ideogrammi che rappresentano la Via prescelta, dei simboli riguardanti gli antenati: il TOKONOMA, e le arti che si coltivano, nel nostro caso l’arte della spada (Iaijutsu) e dell’arco (Kyudo). Qui vengono collocati anche un tempietto shintoista (Kamidana) ed alcuni altri oggetti (come puoi vedere nella foto).

 

 

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LAVORARE NEL DOJO: OMOTE e URA

Apprendere un’arte comporta due passaggi, o meglio due fasi.

1. OMOTE . E’ la prima fase, detta anche “esterna”; riguarda ciò che un principiante osserva e ripete, ovvero l’apprendimento dei Kata, delle tecniche ecc.

2. URA. E’ la seconda fase, quella “interna”. Si riferisce alla parte “nascosta” dell’arte, ovvero il punto di vista filosofico, iniziatico, quello che non si vede attraverso gli occhi ma con lo spirito. Questo secondo aspetto viene quasi sempre tralasciato, soprattutto nelle scuole occidentali che hanno privilegiato la pratica sportiva a discapito dell’arte orientale vera e propria. Viene così a mancare l’aspetto più importante: quello evolutivo, che costituisce l’apprendimento più completo dell’essere umano.

Di solito il primo contatto con il gruppo dell’allievo più giovane KOHAI (後輩) avviene attraverso l’incontro con il SENPAI 先輩 (l’allievo più anziano) : sarà lui a guidarti dandoti le prime informazioni sulla Scuola, sui comportamenti da seguire, sul modo corretto di indossare l’abbigliamento, ecc.

Successivamente avrai modo di iniziare a conoscere meglio, attraverso il lavoro, il tuo insegnante.
Se l’insegnante, nella sua formazione, ha avuto modo di lavorare con maestri giapponesi, avrà acquisito un comportamento che si esprime su due livelli:
TATEMAE 建前 (il rapporto sociale con i suoi allievi)
 e
 HONNE 本音 (l’interiorità privata, ovvero la sua visione personale sulle cose).

Tutta questa “etichetta formale” non ti deve spaventare o intimorire: con la pratica e la conoscenza l’integrazione avverrà senza che tu te ne renda conto, gradualmente. 
Più ti dedicherai alla Scuola, più questi aspetti diventeranno parte di te: attraverso la perseveranza e la dedizione assorbirai molto valore da questa esperienza, che ti rimarrà dentro per sempre. Anche se la vita prima o poi ti allontanerà dal dojo, difficilmente te ne dimenticherai, ritrovandone le tracce nei tuoi comportamenti.

Nel 1971, la prima volta in cui ho indossato un kimono, più precisamente Karategi, Kendogi ecc. (cioè abito da lavoro) l’impressione è stata quella di sentirmi molto ridicolo: quel tipo di abbigliamento era così distante dalle mie abitudini che non riuscivo ad adattarmi. Ed ascoltando il mio maestro giapponese di karate mentre illustrava le tecniche nella sua lingua madre, pensavo che non sarei mai riuscito a capire qualcosa di quel mondo.

Invece oggi indosso il kimono con più disinvoltura del normale abbigliamento occidentale, e grazie a questo percorso ho avuto l’opportunità di avvicinarmi alla lingua e alla cultura giapponese come approfondimento personale. Tutto si può imparare…

#determinazioneartigiapponesi

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